| | AFRICAN CUBE/2
2012 - Virginia Ryan
La Ryan nasce in Australia; laureatasi presso la National School of the Art, poi consegue nel tempo diverse specializzazioni. Oggi è artista, scrittrice, arte-terapeuta e soprattutto un ottimo essere umano.
Nel 1981 diviene cittadina italiana e oramai da tanti anni ha scelto le pendici sconnesse di Trevi per vivere e fare arte. Dovendo qui scrivere poche righe su di essa non voglio utilizzare il suo curriculum che vi garantisco, è notevole, ma voglio partire da quel pomeriggio del 1995 (mi sembra) a Cancelli anzi, per essere più esatti in una vecchia stalla abbandonata da poco nella località di Vallupo di Là in un evento d’arte che aveva portato sopra quelle colline folignati tanti ottimi artisti di livello internazionale. Ricordo perché in mezzo a tanti concettuali la sua installazione con delle vecchie ciabatte che aveva raccolto chissà dove, mi creò una particolare emozione; poi con il tempo, pur non incontrandola spesso (dovuto anche al suo modo di fare arte in giro per il mondo), mi sono sempre interessato al suo lavoro, e, durante la sua mostra, scusate, la sua grande mostra a Palazzo Caligola di Spoleto, mi ero ripromesso di chiederle una sua opera per il futuro Parco della Scultura di Castelbuono (pur se in quel tempo ero ancora intento ad elaborare il progetto sulla carta) ed oggi finalmente eccola qui, la sua creature, African Cube/2, simbolicamente un pezzo di Africa sulle colline di Castelbuono .
Il suo modo di concepire l’arte re-interpretando il simbolo dell’oggetto e non il riutilizzo della forma soltanto dà al suo lavoro un valore aggiunto sulla diaspora che oggi la globalizzazione fa vivere pure all’arte. Virginia ci traghetta con il suo lavoro tra Duchamp e Beuys, in un suo personalissimo mondo tra l’Africa e l’Italia.
La sua opera, African Cube/2 è pure una rielaborazione di tutto ciò che è considerato scarto e che andrebbe smaltito e sprecato generando così una base morale che mira a ridargli bellezza e virtù, cioè arte.
Grazie Virginia per averci donato questa bellissima opera.
Paolo Massei
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